Spàlon: contrabbando di vita

Il contrabbando

Il contrabbando fu per decenni questione di sopravvivenza. I pochi soldi derivanti da questo faticoso commercio contrastato dalla legge, non erano manco sufficienti per comprare il cibo necessario.

Per la gente del paese era più frequente intrattenere rapporti con i vicini svizzeri della Val Mesolcina che non tanto con i vicini italiani, e l’ostacolo delle forze dell’ordine di ambo i paesi ai rapporti è sempre stato considerato alla stregua degli ostacoli naturali, come le montagne e le intemperie. L’autarchia era regola di vita poiché anche lo Stato era percepito solo attraverso le guardie di confine, come gli orsi e i lupi che fino alla fine dell’ottocento dominavano boschi e pascoli.

Le popolazioni dei vicini paesi elvetici avevano anche una certa dipendenza dal contrabbando, anche per loro ottenere riso, farina e zucchero era complicato, specie nella prima metà del XX° secolo quando le due guerre mondiali e le conseguenze della crisi economica del ‘29 danneggiavano anche i commerci svizzeri.

Inoltre vi erano parecchie famiglie legate da vincoli di parentela, specie tra Mesocco e Starleggia.

Il contrabbando era affare molto duro, e si concentrava specie nei mesi invernali, quando il lavoro contadino o minerario era bloccato.

Bisognava quindi affrontare faticose camminate in quota, rompendo le nevi del passo del Bardan o del Barna a oltre 2000m slm. Significava a volte correre gravi pericoli, specie quando le pesanti e abbondanti nevicate primaverili aumentavano il pericolo di valanghe ( si calcoli che tra i 2000 e i 3000m slm, in questa porzione alpina si superano anche i 15m di neve!)

Il 10 maggio del 1901 accadde una tragedia: ben 8 uomini furono travolti da una slavina mentre portavano la loro “bricòla” (così si chiama in dialetto locale il carico dello “spàlon”, il contrabbandiere).

Si narra che fu trovato un bastone appartenuto al capo fila infilato sopra il punto di stacco della slavina, probabilmente, si fossero trovati un metro sopra, se la sarebbero cavata.

I loro nomi: MAINETTI ANDREA Fu LORENZO, MAINETTI ANDREA Fu PIETRO, MAINETTI GIUSEPPE Fu GUGLIELMO, MAINETTI GIUSEPPE Fu PIETRO, MAINETTI PIETRO Fu PIETRO, MAINETTI SISTO Fu GIORGIO, SCARAMELLA GIUSEPPE Fu GUGLIELMO, MAINETTI GIACOMO fu GIACOMO.

Nell’ottobre del 1912 la tragedia si ripete in Val Sancia dove PAVIONI AGOSTINO Fu LORENZO (1884 – 1912) e SCARAMELLA LUIGI? (1895? – 1912) persero la vita in seguito all’essere travolti da una valanga.

Si narra che la moglie del primo sognò la tragedia mentre questa avveniva e al risveglio lo raccontò ad altri uomini del paese che attendevano da troppo tempo i compagni, la donna si prodigò in particolari, come il fatto che entrambi non erano morti subito, ma stremati riuscirono ad avanzare ancora nel loro cammino, abbandonando il carico sotto un masso sicuro, e raggiunta una fonte il marito bevve la gelida acqua che lo uccise.

Il compagno di viaggio, giovane inesperto e terrorizzato si mise a urlare e a girare attorno al cadavere dell’amico, fino a quando morì assiderato aggrappandosi a lui.

Gli uomini partiti alla ricerca dei compagni esterrefatti trovarono nel luogo indicato, il marito della donna riverso col viso nell’acqua, e tutt’intorno le impronte del compagno ad esso disperatamente abbracciato.

Al disgelo primaverile qualcuno osò andare fino al masso indicato dalla donna come il luogo dove il carico era stato pòsto al sicuro: e lì ancora si trovavano le due ”bricòle”.

Purtroppo il paese ancora ricorda un’altra tragedia.

Era il 5 maggio del 1944, quando sei uomini furono sorpresi dalle guardie di confine svizzere, nei pressi del confine ( ma ancora sul territorio italiano). I due più giovani, spaventati e convinti che si trattasse di SS tentarono la fuga, una delle Guardie fece fuoco colpendoli entrambi, MAINETTI SIRO morì sul colpo, mentre PAVIONI AGOSTINO morì mentre le guardie lo costringevano a raggiungere la caserma a tre ore di cammino. I cittadini di Mesocco (GR- CH), organizzarono una rivolta e occuparono il posto di polizia in paese, tanto che il militare colpevole dell’atto dovette fuggire e ripararsi a Lugano, dimettendosi dal proprio ruolo.

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